Partecipazione

Romanì: “una cultura foclorizzata”, una partecipazione “commissariata”

30 Luglio 2009 La recente Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta: “ la grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di farvi ritorno;”

Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a “farcela” ad  uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti positivi e professionisti preparati.

Questa grande risorsa presente nella popolazione romanì non viene utilizzata per la collettività, perché? A chi non conviene?  Non si tratta di poche unità, ma di numeri consistenti.

Quali possono essere le cause di questa assimilazione, e se di assimilazione si tratta cosa è stato fatto, cosa è possibile fare per evitarla e per far si che la diversità culturale romanì sia una risorsa per tutti?

La tendenza di addebitare questa scelta di assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione contro chiunque sia rom, è una motivazione riduttiva perché sono persone che hanno gli strumenti per contrastarli.

Come appare riduttivo attribuire responsabilità solo alla politica, certamente non è più possibile continuare ad ignorarla e troppo spesso a strumentalizzarla.

Credo che questa realtà di assimilazione di tanti rom sia il risultato di un utilizzo perfido, al punto da diventare una combinazione micidiale, di due condizioni essenziali per l’esistenza di qualsiasi popolazione: unità e partecipazione.

1.     Unità. Gran parte delle politiche e delle iniziative attivate a favore (!) dei rom fanno riferimento solo gli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali. Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva, alla incapacità di sintesi di una UNITA’ DELLE DIFFERENZE, e produce la “vittoria” di chi soffia sulla divisione.

2.    Partecipazione. I processi di partecipazione attiva dei rom e le strategie per realizzarli non hanno voluto sviluppare un riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità rom. Potrei fare diversi esempi. E se non partecipa la squadra migliore, quale sarà il risultato?

Da troppi anni, troppi opportunisti hanno soffiato sul vento della divisione e ostacolato la partecipazione dei rom.  Sono loro, unitamente alla politica, i responsabili morali del tentativo di eliminazione della cultura romanì.

Quale possibilità ha un rom che è riuscito a “farcela” di rivendicare la propria identità culturale romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria popolazione?

Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo “zingaro”  solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora, ecc.

E se andiamo a vedere le iniziative proposte e promosse sono tutte destinate esclusivamente alle persone rom con lo specifico stereotipo.  Raramente, molto raramente, assistiamo a proposte e iniziative culturali (attenzione! culturali e NON folcloristiche).

Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è occupata e che si occupa dei rom, di “gestire” o “tutelare”, evitando ogni forma di crescita dell’autonomia e della normalità per i rom.

Qualsiasi cultura si evolve con il contatto e con lo scambio culturale.

Come il pane e l’acqua sono essenziali per la sopravvivenza di una persona, il contatto e lo scambio sono basilari per la esistenza di una cultura.

A meno che non voglia scomparire la cultura romanì non può continuare a “chiedere” un contatto ed un scambio culturale demogogico, estremista, differenziale ed assistenziale, deve realizzarlo; la cultura romanì non può continuare ad essere ostaggio di rapitori balordi ed ignoranti, ma essere protagonista; la cultura romanì deve uscire dall’angolo dove volutamente è stata relegata, può farlo SE METTE SUBITO IN CAMPO LE MIGLIORI PROFESSIONALITA.

Le esperienze del passato hanno insegnato con quale metodo è stata “commissariata” e  “folclorizzata” la nostra presenza e con quale strategia è stata impedita (o gestita) la nostra partecipazione e soffiato sulla divisione, per sostituirsi  senza vergogna ai rom.

Ma in particolare hanno ostacolato la partecipazione attiva di rom qualificati, utilizzando tutte le “porcherie” possibili per metterli in cattiva luce a tutti i livelli ogni qualvolta hanno tentato di avvicinarsi.

Rom qualificati che avrebbero dato un grande contributo alla collettività romani; rom qualificati che avrebbero impedito il business dei campi nomadi e tanto altro che sta distruggendo la popolazione romanì.

Oggi tutti sono critici per le politiche sbagliate del passato che hanno proposto e realizzato per i rom, non possono fare diversamente visti i risultati, ma perché continuano a mettere in atto iniziative fallimentari simili al passato, anche se con altre forme ed altri linguaggi?

Per esempio ieri hanno “folclorizzato” la partecipazione di singole persone rom, oggi vogliono fare la stessa cosa con la costituzione di organizzazioni rom, affinchè il controllo totale sia SEMPRE nelle loro mani, quindi non interessa la presenza di rom qualificati.

E’ evidente che si tratta di una falsa autocritica, o critica, perché cambia la forma, ma non la sostanza. Questo non significa che sono persone cattive ma che come tutte le persone possono sbagliare, anche in buona fede, ma i danni non lo pagano loro, lo pagano i rom.

Cosa si intende per partecipazione attiva dei rom in una associazione?

con quale strategia realizzarla?

Dalle esperienze del passato e del “progetto federazione”, avviata molto lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della partecipazione attiva dei rom, e già altre volte ho scritto di questo argomento.

1.     basta essere rom? In questa strategia la partecipazione attiva di rom nell’associazione è “come un mezzo”, cioè “una vetrina” di rom che produce solo beceri personalismi e ulteriori divisioni.

2.    partecipazione di rom qualificata. In questa strategia la partecipazione attiva di rom nell’associazione è “un processo” di conoscenze e di competenze. La partecipazione è “un fine” per cambiamenti collettivi riconoscendo e valorizzando le professionalità rom anche quale esempio. E’ un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di empowerment. Un processo di azioni, di sviluppo dell’identità collettiva romanì, per migliorare l’equità e la qualità della vita della popolazione romanì.

Attenzione!!! qualcuno tenterà di “giocare” su queste affermazioni: non si tratta di avere titoli di studio, ma di possedere o acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per una partecipazione qualificata.

Questo ragionamento e la strategia della partecipazione qualificata dei rom hanno condiviso le 15 associazioni e diverse singole persone che hanno scelto di aderire alla federazione, oggi denominata Federazione romanì, per continuare il percorso del “progetto federazione”.

L’assenza di una partecipazione attiva qualificata di rom è stata da troppo tempo ignorata ed ha permesso lo sviluppo della convinzione che la questione rom sia solo una questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì.

Il riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità rom è il primo passaggio essenziale per riconoscimenti più ampi all’identità culturale romanì in Italia.

Nazzareno Guarnieri – Presidente Federazione romanì

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Partecipazione attiva

Gli ultimi anni sono stati terribili per la popolazione immigrata, rom e sinta, scelte e comportamenti sbagliati del passato e del presente hanno determinato un clima di odio e di rifiuto contraddistinto da violenze e da forme istituzionali di illegalità e di discriminazione.

Ma le reazioni agli atti di violenza e di discriminazione istituzionale pongono in evidenza una questione sostanziale: l’incapacità di “produrre” cultura, restando “incarcerati” all’interno di “gabbie culturali” di riferimento che minano la credibilità per un rapporto vivo con la società.

Un rapporto vivo con la società, per produrre cultura, impedirà la morte della propria cultura che per sua natura è dinamica.  E’ quindi necessario un lavoro culturale per innescare percorsi di reazione positiva al confronto e allo scambio culturale.

Un lavoro culturale per far emergere un orientamento verso la partecipazione attiva, verso una democrazia interculturale e passare dalla mediazione alla partecipazione.  Ma cosa si intende per partecipazione attiva?

Come un mezzo personale e strumentale.

Come un fine che investe processi di trasformazione di vasta portata per produrre cambiamenti collettivi.

Infatti la partecipazione come un fine è un processo di azioni attraverso le quali gli individui, le comunità e le organizzazioni guadagnano padronanza sulle loro vite per migliorare l’equità e la qualità di vita.

La forma e la sostanza della partecipazione come un fine devono avere una credibilità.

Un approccio partecipativo come un fine presuppone processi di formazione alla partecipazione (capacity building), cioè lo sviluppo delle capacità, affinchè la partecipazione attiva sia efficace ed efficiente nel perseguimento degli obiettivi.

Chi pensa che possa esserci una partecipazione attiva per tutti e per chiunque a tutti i livelli e senza capacity building, purchè si appartenga a quel determinato gruppo, commette un grave errore che troppo spesso impedisce il passaggio dalla mediazione alla partecipazione attiva e di conseguenza da una statica democrazia multiculturale ad una dinamica democrazia interculturale.

La popolazione Rom e Sinta in Italia se vuole migliorare la propria condizione di vita ed uscire dalla condizione di emarginazione ed esclusione sociale e culturale deve investire tutto sulla partecipazione attiva  sia delegando le personalità Rom e Sinte in possesso di strumenti in grado di far crescere una credibilità al dialogo diretto, attivo e propositivo, sia attivando processi di di empowerment delle persone per podurre cambiamenti, un processo di formazione alla partecipazione (capacity building).

Le associazioni amiche di Rom e Sinti devono investire in questo processo se vogliono veramente essere utili alla popolazione Rom e Sinta ed alle loro organizzazioni.

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